Buongiorno!!! questo mese con voi a me è volato!!! Grazie a tutti per la collaborazione. In questa puntata Bere e mangiare grazie a Gianluca Pantani e Lucia Rufini, e poi cultura per grandi e piccini con i consigli di lettura di Federico Ricci , e la lettura dei Promessi Sposi da parte mia.
Vi abbraccio e aspetto contributi
e…continuiamo a farci compagnia!!!
CACCIA AL SIMBOLO
DEL PROF. RICCARDO SPINELLI
Risposta al quesito di ieri : “Nudo – Christoffer Wilhelm Eckersberg“
Quesito di oggi dell’opera sottostante è: “Si identifichi l’autore”
domani la risposta….
Arrostino avvolto nello speck
- Un filetto di maiale o un petto di tacchino intero
- 1 etto di speck tagliato non troppo spesso o di pancetta stesa affumicata
- Senape
- Aglio in polvere o spicchi
- Salvia fresca o essiccata
- Sale
- Olio
- Vino bianco
- Cipolle (facoltative)
Su un tagliere stendere le fette di speck o di pancetta leggermente sovrapposte, come nella foto, dove vedrete che ho usato metà e metà perché avevo dei resti. Adagiate sopra il filetto, massaggiatelo con del sale, spalmate sopra della senape, mettete un podi aglio in spicchi o polvere e della salvia fresca o essiccata. A questo punto fasciate il filetto, chiudendo sopra ogni fettina presa da un capo e dall’altro.
Tagliate un bel foglio di alluminio, mettete nel mezzo il filetto vestito, mettetegli ai lati delle cipolle tagliate in spicchi non troppo grandi, irrorate di olio, vino bianco e sale.
Chiudete l’alluminio a formare un cartoccio e cuocete un 25/30 min a 180/200 gradi poi aprite il cartoccio e assicuratevi che la carne sia ben cotta.
Appena è un po’ raffreddato, affettatelo e servite con le cipolle e il fondo di cottura.
La prossima ricetta sarà una sorta di merendina un po’ sana e un po’ golosa per grandi e piccini. Serviranno banane, nutella o simili e un po’ di cocco grattugiato o farina di cocco.
“Tu mi piaci come questa birra | amara schiuma un pomeriggio al bar” [cit. Zucchero]
“A me non piace la birra, è amara”.
Tutti noi abbiamo almeno un amico (più spesso un’amica) che non beve birra accusandola di avere un gusto troppo amaro. In realtà ciò è dovuto al fatto che il nostro amico ha assaggiato solo birre in stile Pils, che è lo stile che rappresenta oltre il 90% della birra che possiamo trovare abitualmente in pub, ristoranti e negozi.
Gli ingredienti fondamentali che normalmente danno vita a una birra sono quattro: acqua, malto, lievito e luppolo. Se consideriamo per semplicità neutri l’acqua e il lievito (anche se per alcuni stili birrari non è assolutamente vero!), possiamo ritenere artefici del gusto di una birra il malto e il luppolo.
Il malto (generalmente di orzo) è formato dai chicchi del cereale portati allo stadio di inizio germinazione in modo da avere una maggiore quantità di zuccheri (che saranno poi “mangiati” dal lievito durante la fermentazione).
Il luppolo invece è una pianta rampicante della famiglia delle Cannabacee della quale per birrificare si usano i fiori secchi della pianta femmina, che contengono una resina giallastra dal sapore amaro.
Quindi abbiamo da una parte gli zuccheri del malto e dall’altra l’amaro del luppolo.
Ed è proprio l’incontro e l’equilibrio tra questi due gusti a rendere attraente, dissetante, invitante e piacevole la bevuta di una birra. Ovviamente esistono innumerevoli stili birrari dove viene esaltata maggiormente una o l’altra caratteristica, senza contare birre che vanno invece a stimolare il gusto salato e quello acido.
Se volete riportare il vostro amico sulla strada perduta della birra dovete quindi provare a proporgli delle birre che abbiano un indice di amaro abbastanza basso, quindi io proverei con Bock tedesche, Ale Belghe e Dubbel dove il gusto dato dal malto supera quello apportato dal luppolo, con le Milk Stout dove viene aggiunto lattosio, con birre di grano tedesche (Wiessbier) o beghe (Blanche o Wit), con Faro e Kriek, birre “strane” belghe a cui viene aggiunto rispettivamente zucchero e ciliegie, o con le Saison, birre anch’esse belghe. Prosit!
In questo romanzo breve Carofiglio racconta di un viaggio a Marsiglia e di una notte che si allungherà nel futuro fino a diventare il luogo e il momento dell’incontro e del riconoscimento tra un padre e un figlio. Il meccanismo narrativo che porta a questa notte è spietato, affilato, preciso, e Carofiglio ci offre tutte le parole necessarie senza fronzoli. Ci sono momenti brillanti, minuti offuscati di alcol e stanchezza, si pronunciano verità taciute, si ravvivano passioni e ci si mostra nella propria verità più fragile e intensa. Ogni dettaglio porterà a creare inevitabili simmetrie nelle vite dei protagonisti.
La voce del figlio ci accoglie, ha l’età che aveva suo padre allora. Sente il bisogno di raccontarci “di quei due giorni e di quelle due notti”.
Hanno inizio proprio lì e proprio in quel tempo i passaggi verso la maturità che prima o poi tutti noi abbiamo affrontato (anche non avendo l’abilità di Carofiglio nel raccontarlo): riconoscersi nel proprio padre, in un volto che inizia a mostrare segni del tempo, nelle parole e nei gesti acquisiti/ripetuti per imprinting e per scelta. Chiarire a se stessi la natura delle proprie radici, l’intensità dei desideri, la necessità di trasgressione, il senso di realtà che ci ancora al quotidiano. Percepire prima ancora di averla vissuta, la fatica che si fa ad essere fedeli a se stessi, alla propria dignità. Comprendere, un’illuminazione spesso tardiva, che il genitore ha una propria dimensione che travalica l’essere “semplicemente” padre o madre è la via per allontanarsi da gelosie e infantili egocentrismi.
Le tre di notte: l’ora più buia. Il giorno passato si riversa nel giorno futuro. Il momento di verità e libertà assoluta in cui il padre si rivela al figlio, fino quasi a scomparire e in cui il figlio emerge con tratti più definiti, in un trasferimento di gesti e parole, quasi una staffetta, uno scambio, una promessa di vita.
Ogni uomo, che sia padre o figlio, dovrebbe tenere questo libro vicino al cuore, per trovare il coraggio di comunicare e di farsi capire; Il coraggio di rispettare chi è altro da sé, senza la compiacenza e l’arroganza del portatore di testicoli, ma sempre con la benevolenza e la fiducia nella propria fragile solidità.
Antonio Libonati
Aprile 22, 2020Uno dei più grandi esponenti dei “Nazareni”. L’opera è del 1818…
Marco
Aprile 22, 2020Questa volta che potevo intuire il soggetto del quadro chiedi solo l’autore…che sfortuna… comunque bello…colori vivaci e brillanti…
Per le ricette stiamo sperimentando tutto e devo essere sincero tutto squisito e questa ricetta mi intriga….
Per la birra sono più per amaro….però terrò conto della cosa per consigliare…