Buongiorno!!!
E SIAMO A 36!!!Oggi rifacciamoci gli 0cchi con i bellissimi e super colorati dipinti di Lucia Candelotti, godiamoci il secondo capitolo della dolcissima storia del cane Argo di Valentina Brasca,divertiamoci ancora raccontando la scena del nuovo dpinto proposto dal Prof. Spinelli e gustiamo ila meravigliosa proprosta culinaria di Lu.
Vi abbraccio forte
e…continuiamo a farci compagnia!!!
CACCIA AL SIMBOLO
DEL PROF. RICCARDO SPINELLI
Informazioni sul quadro di ieri: “Il rimprovedro di Dio Padre – Domenichino“
Cambio quesito di oggi dell’opera sottostante: “raccontateci voi la scena”
rispondete numerosi….
e divertitevi con i commenti di ieri….
Spaghettata col pesce
Per 3 persone
- 220/239 gr spaghetti
- 10/12 mazzancolle
- due calamari non troppo grandi
- aglio
- prezzemolo
- olio EVO
- vino bianco
- peperoncino
- sale
- succo di limone
Pulire le mazzancolle e dividerle in 2 o 3 pezzi, secondo la grandezza.
Pulire i calamari e farli a pezzi o a rondelle.
In una padella rosolare l’olio con l’aglio, il prezzemolo e il peperoncino, aggiungere il pesce e far cuocere per pochi minuti, sfumare col vino bianco e aggiungere il succo di limone. Io di solito aggiungo il sale solo dopo che il sugo ha riposato un po’ in modo che tiri fuori un po’ della sua sapidità.
Condire gli spaghetti nel sugo e se vi piace grattugiate sopra della scorza di limone.
Il prossimo piatto saranno delle melanzane gusto pizza:
- serviranno delle melanzane affettate surgelate
- della polpa o passata di pomodoro
- delle sottilette o mozzarella o ricotta
- olio EVO
- sale
- origano
Legenda:
Kuomi: uomini e donne sul cui corpo compare la coda del cane con cui si accompagnano. Sono dotati di particolari sensibilità e empatia.
Talpe Alfa: persone che non hanno mai avuto una relazione stretta con un cane. Sono persone ottuse e conservatrici.
Talpe Beta: persone a rischio cecità emotiva e intellettiva, ma con possibilità di cambiare grazie a incontri giusti.
CAPITOLO SECONDO
“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe.
Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro,
dalle tre io comincerò ad essere felice.
Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità.
Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi;
scoprirò il prezzo della felicità!
Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore….
Ci vogliono i riti”.
I
Il giorno dopo Julia si alzò molto presto per uscire con Argo. Sapeva che non avrebbe potuto portarselo sempre al lavoro e cominciò subito ad abituarlo ad aspettare il suo ritorno a casa.
Per tutta la prima settimana non fu facile per Julia veder scomparire piano piano la testolina delusa di Argo dietro la porta che piano piano si chiudeva. Lui sarebbe voluto andare con lei, lei avrebbe voluto portarlo con sé. Quel distacco sembrava una forzatura come la chiave che macchinosamente girava dentro la serratura. Ma la casa non l’avrebbe aspettata e non si sarebbe accorta della sua assenza e dello spazio che essa le lasciava. Argo si. Quell’assenza si sarebbe riempita dei suoi pensieri, delle sue aspettative e delle sua capacità. Quell’assenza era un preludio all’incontro di due esseri che avrebbero saputo creare sé stessi dentro e oltre la relazione che li univa. Era nelle estati trascorse a Talla che la nonna aveva insegnato questo a Julia, lasciandola libera di allontanarsi da casa e di ritornare, di scegliere di oziare o di studiare, di sbagliare l’impasto di una torta e riprovare, di cercarla e non trovarla sempre. Un numero troppo esiguo di settimane per la sperimentazione dell’assenza di quella donna, così presente quando trascorrevano le ore insieme. Troppo poco tempo, prima di ritornare a Firenze, scortata dall’assillante onnipresenza di sua madre che copriva l’autunno, l’inverno e la primavera. Troppo spazio.
Ogni volta che rientrava a casa, Julia cominciava a sentire il mugolio di Argo appena raggiungeva il pianerottolo di Ida ed era in quel momento che la sua mente si univa a quella del cucciolo in uno stato di gioia e di intenti comuni. Quando la porta si apriva, anche i loro corpi si univano in un abbraccio e uno scambio di carezze e leccate inebrianti. Poi Argo si sedeva impettito nella sua cuccia, in attesa della merenda che stavano per condividere. Lei si toglieva le scarpe, andava in bagno, si lavava le mani, usciva dicendo “si fa merenda”, prendeva dal frigorifero uno yogurt,ne metteva un po’ in un piattino per Argo e si sedeva a mangiare la sua parte. Poi si alzava, si preparava un caffè, si sedeva a berlo, si rialzava per mettere la tazzina nell’acquaio, tornava a mettersi le scarpe e chiamava Argo, che aveva osservato immobile tutto il procedimento preparatorio alla grande chiamata. L’ora della passeggiata insieme era tornata e la porta di casa si riapriva e si richiudeva dietro una piccola coda ondeggiante.
Sulla strada del ritorno a casa, Julia pregustava i momenti che stavano per arrivare, quello in cui si sarebbe messa comoda sul divano a leggere un libro ed Argo le si sarebbe acciambellato a fianco, e quello della cena, che avrebbe preparato e consumato con il sottofondo dei sussulti, degli sbuffetti e dei tremolii di quel cucciolo addormentato in un sonno profondo e sereno, protetto dalla sicurezza dello svolgersi di quelle sequenze conosciute.
Molte volte, prima di prendere Argo, Julia si era spaventata all’idea di perdere la libertà di gironzolare per negozi senza limiti alla fine del turno di lavoro, perché il cane avrebbe dovuto essere portato fuori. Col trascorrere dei giorni insieme ad Argo, si accorse piano piano di salire le scale con più leggerezza e di trovarsi più bella davanti allo specchio, anche senza camicetta nuova. La sua frenetica ricerca nei grandi magazzini di qualcosa che le desse valore era cessata con l’incombenza di accudire quel cucciolo che l’aspettava. Nella forza di gravità che l’attraeva verso quel nuovo compito e in quella nuova responsabilità, stava trovando il segreto della leggerezza per sollevarsi sulla pesantezza del mondo e di se stessa.
Quando Argo ebbe compiuto un anno, Julia si comprò un giubbotto e degli stivali impermeabili che le permettessero di uscire con lui sotto la pioggia senza doversi portare dietro l’ombrello. Fu la prima volta in cui non girò mezza città, ma le bastarono dieci minuti nel negozio di sport dietro casa sua. Anche quando la pioggia scrosciava forte e la costringeva a togliersi gli occhiali perché l’acqua le rendeva difficoltosa la vista, Julia assaporava felice quei momenti condivisi con Argo, gli alberi e l’erba intorno a lei, intrisa di una potenza di scambio e di fusione con la natura priva di malignità. In certi momenti il Flusso con Argo cominciava a viaggiare velocissimo avvolgendo entrambi in una sorta di nuvola invisibile, dentro la quale i loro passi si adeguavano l’un l’altro, il loro cuore batteva lo stesso ritmo e i loro occhi guardavano nella stessa direzione.
II
Mancava poco all’estate, ma Firenze l’aveva già creata aiutando il sole con la sua nuvola di fumi caldi. Il termometro attaccato all’ingresso della farmacia segnava trentaquattro gradi. Julia era di turno fino alle tre di pomeriggio e la compagnia non era delle migliori. Con lei c’era infatti Francesco, che del Santo aveva solo il nome. Passava ore con la testa chinata sul telefonino, facendosi scudo della serietà di Julia nello svolgere il suo lavoro e della sua eccezionale abilità nel captare qualunque cosa accadesse nel giro di almeno cento metri. Sopra il rumore del traffico alle orecchie ruotanti di Julia arrivavano musichine computerizzate, segnali come morsi di mela, campanellini e risatine provenienti dalla postazione di Francesco. Una delle poche attività che riusciva ad allietarlo e a svegliarne la laboriosità, distogliendolo dal suo intrattenimento elettronico, era multare qualunque macchina parcheggiata in luoghi non concessi. Tra queste prediligeva quelle di madri con figli piccoli, quando la lasciavano cinque minuti davanti ad una scuola per depositare il figlio maggiore senza rischiare di ritrovarsi una temperatura di oltre trentacinque gradi nell’abitacolo e di far arrostire i figlioletti più piccoli.
Francesco non amava nessuno, neppure sua moglie che da una vita gli faceva trovare il pranzo e la cena pronti e gli lavava le mutande sporche di cacca (questo glielo aveva detto lei un giorno che l’aveva incontrata in merceria ed aveva bisogno di sfogarsi). In particolare però Francesco detestava bambini, cani, disabili e vecchietti. Se perciò gli capitava di incontrare una vecchietta alla quale era sfuggito di pulire la caccona del suo chihuahua, aveva realizzato la sua giornata facendole la multa. Molti degli obiettivi di vita delle Talpe Alfa erano di questo tipo, iniezioni di male dosate per non uccidere subito, ma dopo una lunga e dolorosa consumazione . Quando si trovava insieme a Francesco, Julia poteva sentire dentro di sé le piccole gallerie scavate dalla Talpa, che le provocavano talvolta restringimenti dello stomaco, extrasistole, difficoltà a deglutire e respirare. Per sua fortuna, Francesco non era né suo padre, né suo figlio, né il suo fidanzato e tutto ciò rendeva la cosa molto più sopportabile.
Quella mattina la macchina non era partita e per andare a lavoro Julia aveva dovuto prendere l’autobus. Quell’ammasso di ferro dalle ruote giganti e dalle porte serrate, apribili solo tramite un pulsante comandato da uno sconosciuto sotto vetro, pieno zeppo di gente, dei suoi interlocutori digitali e delle loro frette, era sempre stato uno dei luoghi prediletti da Panico per farle visita. Julia salì a bordo come un guerriero spaziale,attivando tutti i pulsanti di difesa che pensava di avere a disposizione. Con rapido
sguardo studiò tutti i passeggeri, cercando anche nei loro vestiti e nelle loro scarpe indizi che rendessero plausibile il loro non essere Talpe di nessun genere. Si teneva forte con la mano sudata che, lavando il palo al quale si aggrappava, ne assorbiva tutti i virus e i batteri di cui era sicuramente ricco. Non importava, si sarebbe lavata le mani dopo. Si diceva così, ma i batteri la stavano invadendo.Un signore la urtò spostandola di mezzo metro e facendo atterrare la sua spalla sul fianco di una donna obesa che biascicava un chewing gum, che la guardò malissimo. Seduta sotto di lei, una giovane mamma teneva stretto il suo bambino sussurandogli parole pacate. Troppo tardi. Quella mamma forte e amorevole non poteva proteggerla. Le orecchie di Julia cominciarono a girare come una trottola impazzita, il respiro si velocizzava, la pancia si gonfiava fino a toglierlo. Panico era stato puntuale e quasi gentilmente non aveva disatteso le sue aspettative. Julia premiò sè stessa ed il suo mostro regalandosi una liberatoria discesa anticipata dal bestione di ferro. Arrivò a casa con un ritardo di due ore rispetto al solito.
Quando arrivò, aprendo la porta di casa si trovò davanti ad uno scenario mai visto. Sul pavimento giacevano sparpagliati nella stanza una decina di libri smangiucchiati, alcune penne spezzate, il telecomando della televisione bucherellato, il telo copri divano e i cuscini che vi stavano sopra. Argo le si era piazzato davanti stritolandole sotto gli occhi il resto di qualche malcapitata penna. Julia con furia si precipitò a togliergliela dalla bocca, ma senza riuscirci, paralizzata dal ringhio del cucciolone che si allontanò correndo. Fu seguendo Argo nelle sue corse e nei suoi salti disorientati sul divano che Julia si accorse del fumo proveniente dal retro della televisione e corse a staccare la corrente per paura di un cortocircuito. Avvicinatasi ai cavi si accorse che questi erano integri e che il fumo proveniva da un piccolo buco nella parete che prima non c’era. Mentre pensierosa osservava davanti a sé quel buco comparso dal niente voltando le spalle al caos della stanza e all’imprevisto comportamento di Argo, un fischio penetrò le orecchie di Julia e le sue mani, come trafitte da centinaia di minuscoli aghi, cominciarono il loro pianto di sudore. Afferrò il cellulare e digitò il numero di Ernesto.
“Ernesto puoi salire da me per favore? C’è un buco nella parete!” riuscì a dire con voce tremolante.
Il portiere fu davanti alla sua porta nel giro di pochi minuti, mentre dal fondo delle scale li raggiungeva l’abbaio frizzante di Spike che aveva preso il suo posto in portineria.
“E tutto questo casino l’ha combinato Argo perché sei arrivata in ritardo, naturalmente” furono le prime parole di Ernesto alla vista del salotto di Julia.
“Si….Ernesto grazie…non mi sento bene, mi siedo, scusa….c’è un buco che prima non c’era dietro la televisione…esce fumo….ho paura…”
“Vediamo, niente paura, sono cose che possono accadere, non è detto che si tratti di un evento nefasto…vediamo…ah, si, eccolo qua…mmhh….non è fumo, direi alito piuttosto….”
“Alito? Ernesto puoi chiamare un’ambulanza per favore? Io non mi sento proprio bene, cado….”
Ernesto si avvicinò, le si inginocchio davanti e la abbracciò.
“Intanto ci sono io qua, se poi non basta chiameremo l’ambulanza Julia, ma adesso abbracciami …”
“Ho paura, ho paura , ho paura…..” le parole le scivolarono via con la cascata di pianto sulla spalla di Ernesto, che ora la teneva soltanto ancorata a sé.
“Spike ormai avrà la gola secca” osservò Ernesto con aria seria mentre l’abbaio proveniente dalla tromba delle scale non accennava a diminuire La frase di Ernesto, pronunciata nel mezzo di quella scena drammatica, spaccò l’atmosfera, e Julia improvvisamente rise.
Argo nel frattempo si era avvicinato a loro scodinzolando e cercando di intrufolarsi in quell’abbraccio. Fu in quel momento che Julia vide il suo pantalone sporco di sangue. Usciva dalla bocca di Argo. Ernesto lo prese in braccio. “Presto, dal veterinario più vicino, deve essersi tagliato la lingua con la penna rotta. Non c’è tempo da perdere!”
Prima di uscire in strada prese Spike sotto l’altro braccio e, seguito da Julia, salì in macchina e partì.
III
“Tre punti sono stati sufficienti. È ancora un po’ stordito per la sedazione, ma tra poco sarà come prima. Le ho prescritto un antidolorifico da somministrargli per stasera e domani, poi non ce ne sarà più bisogno”.
“D’accordo Dottore” disse Julia cercando di trattenere Argo che tirava verso l’uscita.
“Cerchi di essere più dura con quell’animale signora. Se continua a tirare non abbia paura a tirargli uno scappellotto sul muso e tenga sempre il guinzaglio corto per controllarlo meglio. Attenzione ai bambini e quando si trova in luoghi affollati gli metta la museruola”.
“È nato in una casa dove c’era una bimba piccola, è molto affettuoso ed equilibrato, non farà del male a nessuno sono sicura…”
“Signora, ha visto bene gli occhi del suo cane? Li vede quei peli neri e ispidi che spuntano in mezzo a quel bel manto dorato da Golden Retriever?”
“Certo, dopotutto è un meticcio, niente in lui è stato programmato a pennello, ma ciò non significa che debba essere più pericoloso di un Golden Retriever” rispose Julia con la voce alterata dal battito accelerato del suo cuore offeso.
“Non è un meticcio, ma qualcosa di molto peggio…è un ibrido”
“E Lei come fa a saperlo? Ha forse analizzato il suo sangue?”
“Esatto. Insieme ad altri veterinari sono stato incaricato di esaminare i casi sospetti di essere ibridi, rintracciarne la provenienza e avvisare le autorità competenti per la caccia ai lupi”.
Julia avvertì quella che sembrava una fitta al cuore, ma che probabilmente non lo era, visto che era sempre in piedi, con la mente piena di pensieri e le braccia forti che trattenevano il suo cucciolone di venti chili come una gabbia di protezione. Aveva rimosso il pensiero che Argo potesse essere un ibrido e soprattutto non vedeva in lui nessun segno di aggressività. Quella del veterinario le risuonò dentro come una sentenza paurosa che la rese improvvisamente aggressiva.
“Perché tutta questa prevenzione? Lei ha mai vissuto con un ibrido, o con un lupo magari? Chiunque potrebbe aver bisogno della museruola. Faccio il vigile urbano e Le posso dire che le belle signore eleganti, profumate e bionde come Golden Retriever, che dalle loro impeccabili ville scendono in SUV luccicanti per portare i loro bambini puliti, rivestiti e biondi a scuola commettono molte più infrazioni del muratore sporco e con la barba lunga che sale dalla periferia più degradata….con cani, ibridi e lupi è la stessa cosa, anche se forse fa comodo non riconoscerlo!”
“Signora esca per favore!”
“Subito! Spero che almeno abbia fatto un buon lavoro con la lingua di Argo, altrimenti ….”
In quel momento qualcuno bussò alla porta. Era Ernesto che da fuori aveva sentito le parole quasi gridate di Julia ed entrò per interromperla e portarla fuori.
“Ernesto, anche i veterinari possono essere Talpe?”chiese Julia appena fuori dalla clinica con gli occhi umidi imploranti aiuto.
“Cambieremo veterinario, ma ora tranquillizzati. Argo non deve sentire la tua rabbia e la tua aggressività. Tu devi controllarti per lui. Tu puoi sentire che una persona sta sbagliando, o che sta dicendo cose cattive o stupide, ma non devi farlo sentire a lui. Se vuoi smentire ciò che si dice sugli ibridi, sii sempre gentile con lui, separa i tuoi pensieri dalle tue emozioni e lascia che emani da te sempre un Flusso positivo. Rimani in ascolto dei bisogni dentro e fuori di te. Funzionerà, se ci lavorerai, se il tuo amore per questo mezzo lupo è veramente grande come credi”.
“Si. Sai Ernesto, mi ricordi qualcuno…ah, si, certo! mi ricordi Gianni!”, sorrise e si sedette in macchina con i venticinque chili di Argo appoggiati sulle gambe. E li sentiva tutti.
Antonio Libonati
Aprile 28, 2020Ah, però!! Qui si va sul pesante fino ad arrivare ai più profondi meandri dell’inconscio e del mondo onirico…
Si tratta senza dubbio di uno dei più interessanti, eccentrici e “gotici” artisti vidionari del romanticismo. Ufficialmente noto come “Il pittore del diavolo tra ragione e sentimento” e pensare che era stato anche ordinato sacerdote…!? Svizzero di nascita.
Elisabetta
Aprile 28, 2020Scusate ma oggi sono prosaica: belli i dipinti e il racconto ma… Buona la ricetta di oggi, la farò stasera per cena, grazie!!!
Marco
Aprile 28, 2020I commenti ai quadri sono esilaranti…non li avevo visti su FB … i quadri di Lucia danno un tocco di colore in unz giornata cupa di oggi
Monica Mechini
Aprile 28, 2020Il suggerimento di Antonio Libonati del dipinto di oggi ha aiutato anche una profana come me, oltre alla preziosa opportunità di conoscere questo artista e le sue inquietanti opere… Nightmare – Johann Heinrich Füssli: un incubo di un metro quadrato. Non potrei mai e poi mai appenderlo in casa…