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MariaLuisa Moneti in Puccini

Nella giornata della Memoria, anche io voglio ricordare una persona straordinaria, la mia bis nonna, che in uno dei periodi più terribili e dolorosi della storia, invece di coltivare odio e rancore, ha praticato l’amore.

Quella nella foto, è la mia bisnonna Maria, nata nel 1899, testimone di entrambe le guerre, ma mentre durante la prima era una ragazza, durante la seconda era una mamma che aveva entrambi i figli maschi al fronte prima e prigionieri dopo e due figlie femmine molto giovani e carine a casa, in pericolo non solo dalla minaccia bombe, ma da quella della violenza di soldati allo sbando.

Ho conosciuto molti aneddoti che la riguardano, dopo la sua morte, perchè lei, come alti giusti, ha sempre sostenuto che “il bene lo si fa e non si dice”, come se il vantarsi sminuisse l’azione di per se.

Mio nonno Avo è stato fatto prigioniero dai tedeschi e imprigionato nel campo di concentramento di Ertfurt, nel sud della Germania, mentre mio zio Aldo, fu catturato dagli inglesi, che furono con lui più clementi.

Negli anni in cui nonna Maria, non ebbe notizie dei suoi figli, non perse mai la speranza e  con quel poco che aveva, faceva il pane e di notte lo distribuiva a chiunque incontrasse, senza fare domande nè guardare il colore della divisa, mi ha sempre detto che si augurava che qualche mamma tedesca facesse altrettanto con suo figlio. Il male che la circondava non riuscì mai a pervaderla, l’amore fece da schermo a tutto l’odio che animava il resto del mondo.

La paura non la rese meno umana, perchè si può sempre scegliere anche nella peggiore delle situazioni.

Al suo funerale, è morta che aveva 95 anni, si è mobilitato il paese e non solo, e la parola che veniva ripetuta più spesso era “GRAZIE”.

Grazie per il pane regalato

Grazie Per le parole di speranza

Grazie per l’esempio

Grazie per i vestiti con i quali ci siamo scaldati

Grazie per le scarpe che hanno protetto i nostri piedi

GRAZIE

Il mondo è pieno di persone così ed io sono orgogliosa di essere la sua bis nipote, spero di essere degna di aver ricevuto il suo patrimonio genetico.

Quando mio nonno Avo, rientrò a piedi dalla Germania, nessuno lo riconobbe, ai piedi aveva dei cartoni rovesciati tenuti insieme da un pò di stoffa ormai un tutt’uno con i piedi, vestiti a brandelli, barba lunghissima, volto scavato e occhi spenti, vuoti, svuotati, il corpo mangiato dalle pulci.

Nessuno lo riconobbe, tranne lei, che subito lo fece spogliare, bruciò tutti i vestiti, e lo lavò, e lo ritrovò sotto quella coltre di dolore.

Ogni volta che hanno provato a raccontarmi quel momento, gli occhi si sono fatti assenti e lucidi, come persi in un ricordo, non ho mai insistito, ma ho fatto tesoro di quelle emozioni, che nei momenti di maggiore sconforto, mi rinfrancano, e mi spingono a pensare che il bene, prima o poi trionfa.

Inutile dirvi, che per rivestirlo, dovette chiedere ai vicini perchè non c’era più niente di suo in casa, tranne le cose più preziose e impagabili che esistano: La casa, la famiglia, l’amore.

 

 

 

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