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Un oggetto, una storia: la forchetta di Nonno Avo

Oggi piove, come succede spesso in questo ultimo periodo, una pioggia battente, fragorosa, che picchia sul selciato facendo arrivare alle finestre  l’odore dell’asfalto sporco, delle deiezioni dei cani, della città.

Io mi sono rifugiata sul divano, non devo uscire, non devo fare, non devo rincorrere il tempo che mi rende schiava e non devo neanche ascoltare il richiamo ipnotico del cellulare , leggo.  La storia che ho tra le mani mi vibra dentro, mi immedesimo, anche per me i ricordi, gli oggetti, sono importanti, non sono solo cose, sono il prolungamento di chi me li ha dati, di chi li ha usati,usurati e vissuti perchè: “il rumore della vita rimane nella malinconia degli oggetti”.

Questa forchetta ha una storia importante, è il simbolo del ritorno di mio nonno Avo dal campo di concentramento vicino a Erfurt in Germania.Dopo due anni di prigionia, ritornò a casa a piedi, scalzo, con gli abiti stacciati, ma sempre più interi della sua anima, con le pulci che finivano di martorizzare quel mucchio macilento di ossa e poca carne. Quando arrivò a casa, stentarono a riconoscerlo, lo spogliarono, lavarono, bruciarono i vestiti, faticarono a trovarne altri perchè i suoi erano stati tutti regalati a chi ne aveva bisogno perchè la mia bisnonna ripeteva sempre che sperava che madri tedesche facessero altrettanto con suo figlio e che quindi non ne avrebbe avuto bisogno. Ha parlato sempre poco di quegli anni, ogni volta che lo faceva i suoi occhi azzurri si velavano di grigio, la paura, la rabbia, la fame, la morte erano ricordi troppo vivi nonostante la distanza di tempo e di spazio.  Poi c’erano la forchetta e la gavetta. Reliquie. Aveva pregato si riempissero tutti i giorni, aveva rischiato la vita per rubare bucce di patate abbandonate davanti alla cucina del campo e si era salvato grazie ad una barbabietola da zucchero che succhiava ogni sera per non soccombere alla fatica e alla fame.

Quando eravamo piccoli, io e mio fratello ce la contendevamo, ci sembrava bella, originale, unica, non capivamo perchè nonno ci tenesse tanto e non volesse darcela. Improvvisamente è sparita dal cassetto delle posate e nascosta in un mobile in alto, inaccessibile per noi bambini, poi dimenticata.

Alla morte di mio nonno non riuscivamo a trovarla, sembrava sparita, volatilizzata, non era più nel mobile di cucina in alto. E poi un sogno: ho sognato mio nonno che mi diceva che era li, proprio dietro al servizio dei piatti, dovevo soltanto allungare la mano. La mattina dopo l’ho fatto, l’ho trovata, l’ho presa; per me era qualcosa di vivo, era un messaggio di mio nonno, dovevo esporla per non dimenticare mai:

non dimenticare la violenza della guerra

non dimenticare il dolore della morte, della lontanza, delle vite spezzate anche di chi sopravvive

non dimenticare quanto è preziosa la libertà

non dimenticare lui

Per questi motivi, adesso, la forchetta è incorniciata  a casa mia, ed oggi, in occasione della festa della Repubblica, ho voluto ridarle la parola.

 

Il libro meraviglioso che sto leggendo e dal quale ho preso la citazione è: “L’equilibrio delle lucciole ” di Valeria Tron edizione Salani

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1 Response
  • Marco
    Giugno 3, 2023

    scrivi benissimo, riesci a scrivere senzazioni e sentimenti in maniera tale da percepisce le tue emozioni.

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